“Corde di violino” di Emilio Misani

Avere corde di violino nel cuore… Vivono vibrando/ per ogni emozione./ Per un presentimento o uno sguardo,/ per un cambiamento pianificato/ o inaspettato… Una struggente melodia, ma anche un graffio, uno stridore; uno stato di piacevole nostalgia, di attesa feconda, di speranza, ma anche di tensione interiore, di ansia, di senso di inadeguatezza. Sentimenti che Emilio Misani nella sua poesia sa ben descrivere – anche se il verbo è improprio: come può descrivere la poesia, che si nutre di suggestioni non prettamente razionali, bensì arcane, dal pozzo dell’inconscio, del non detto, del semplicemente intuito, folgorazione senza spiegazione, terribili o meravigliose che siano, e come definire i parametri delle nostre esistenze? – ed esplicitare con apparente, solo apparente, semplicità, ciò che camuffa la complessità dei giorni, quell’implacabile scorrere interiore, fiume carsico perennemente in piena… Cosi il mio cuore sa,/ benché stritolato e soffocato/ da queste miriadi di corde,/ il prezzo,/ non ancora pagato,/ del suo fluire di sangue e d’acqua/ da ogni lato.

Corde di violino (Giuliano Ladolfi Editore, 2022, pp. 66, euro 10) è il secondo volume poetico di Emilio Misani, un viaggio nel quotidiano, in cui l’osservazione minuta della realtà si trasfigura per suggerire – seppur placidamente e con lo splendore dell’umiltà – una visione altra, oltre, come le mascherine, cui siamo stati condannati negli ultimi due anni e che lasciano tuttavia lo spazio agli occhi, alla vista, al tempo interno, a una considerazione non superficiale: Quel che c’è da guardare/ è tra gli occhiali e quel piccolo/ brandello di protezione/ che serve a coprire quello/ che nessuno ha mai voluto/ osservare con attenzione.

Al di là del concetto si indovina peraltro, attraverso l’enjambement, l’allitterazione, il gioco delle assonanze/consonanze, il grande lavoro di lima del Misani, che non esita a confessare tutta la “fatica” della scrittura poetica. La sua essenzialità, per porre l’accento sul veramente importante, è frutto dello scavo dentro di sé e di un’incessante ricerca formale. Poiché, se si vuole essere onesti con sé e con chi ha la ventura (o sceglie) di leggerti, tale sforzo è necessario (e sempre titanico).

Innumerevoli d’altra parte sono gli spunti da cui parte il poeta: le letture di cui s’è nutrito e si alimenta – Paul Auster, Patrizia Valduga, Eugenio Montale, Giovanni Raboni, Salvatore Quasimodo – sebbene in ogni caso non si tratti mai di sterile citazionismo, ma di rielaborazione feconda. Ti odio e ti amo,/ ti respingo, e ti cerco/ perché di te ho bisogno… Catullo? No, Signora Solitudine… quando, nel partorire/ voci interiori,/ compagne del mio vivere solitario,/ accarezzi il mio animo/ e diventi parola sillabata all’orecchio.

Chi avrebbe mai immaginato, imbattutosi in buche nel manto stradale, che queste potessero essere metafore della vita… Voragini d’asfalto/ nella via deserta,/ portali di passaggio/ tra passato e presente./ Mi sono sporto per guardarci dentro/ ho visto terra e ciottoli di storia:/ radici della mia città. E poi? E al primo cedimento riemergono/ le sepolte verità/ e il tempo si fa/ oggetto di design in esposizione,/ mentre dal suo ventre/ gridando, inconsapevolmente,/ scivola nel nulla/ questa città.

E si procede dalla Crema antirughe alle liriche sulle stagioni, perfetta allegoria del nostro transito in questo mondo, dal Sonetto per la seconda ondata, in cui la contingenza si fa (con il filtro di una soave arresa ironia) fonda meditazione sul destino, ai versi dedicati – incontri casuali o manifestazioni affettive (in retrospettiva).

Non secondaria nella stesura di questo corpus poetico è la raffinata educazione musicale dell’autore, ciò che è reso ben evidente dal sapiente ritmo impresso alle composizioni anche quando le stesse rispondono alla più libera logica del verso libero. E, ancora, si impongono le immagini della metropoli, della comunità che la percorre e di coloro che ci attraversano con la loro presenza una volta e forse mai più, inconsapevoli di avere comunque tracciato una via insieme con noi, seppur per un attimo: una madre con la figlia, i pattinatori, figurine (e non è limitativo il diminutivo) archetipiche, simboli.

Non ultime, come potenza immaginativa, le poesie “religiose”, le quali chiudono una raccolta oltremodo ricca, nonostante le sole 66 pagine. Non una parola va sprecata in Corde di violino. Un’antologia che rappresenta una sintesi fra il tentativo di risposte alle eterne domande e l’armonia che dovrebbe governare i nostri esseri, troppo spesso smarriti nella confusione d’intenti e volontà, nel convulso affanno e in un rumore senza senso. Ascoltiamo, ascoltiamoci.

Alberto Figliolia

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...