Sei partito che eri Vincenzo

Sei partito che eri Vincenzo

Sei partito che eri Vincenzo,
sei tornato, un giorno, che eri Vicente.
Vicente Figliolio, mio zio,
fratello di mio padre:
tu Vicente Figliolio,
lui Carmelo Figliolia…
quella a mutata in o, o viceversa,
figlia di un impiegato dell’anagrafe
distratto o mutazione di migranti
verso altre rive, oltre il vasto oceano
che separava i destini?
Ti ricordo – ero bambino –
partire con la grande nave transatlantica,
insieme con mille fazzoletti bianchi,
dal porto di… Genova? Napoli?
E ricordo zia Nenúfar, giovane, bella
come il fiore di cui porta il nome.
Là, fra i due giganti geografici,
stava il tuo nuovo piccolo grande Paese –
l’Uruguay di Garibaldi;
la terra senza montagne;
il rifugio degli schiavi neri in fuga,
finalmente liberi;
la patria del calcio di Alcides Ghiggia,
Juan Alberto Schiaffino, José Nasazzi,
José Leandro Andrade e Obdulio Varela,
colui che pianse per una vittoria:
il luogo fra l’estuario immenso come un mare
e l’infinita distesa salata oltre…
e Montevideo, la città immaginaria,
e per questo più vera, di Dino Campana…
“Limpido fresco ed elettrico era il lume”.
Poi ti ho rivisto, zio Vincenzo,
o tío Vicente se preferisci,
quando avevo diciassette anni:
eri il mio idolo, zio:
l’uomo di un altro mondo,
altro vento, altro sole, altre pelli,
altre parole, nella parte rovesciata
del globo, là dove il Natale è bagnato
dalla luce forte dell’estate
e la neve una curiosità di esotici siti.
Non portavi più i baffi che in una foto
in bianco e nero, in posa con tuo fratello-mio padre,
ti facevano bello, tenebroso e fascinoso
come un divo di Hollywood, la canottiera
bianca, la sigaretta pendula fra le labbra,
la giovinezza come lo sparo di uno starter
alla conquista del futuro.
Ti piaceva rivedere la tua vecchia patria,
ma finivi per tornare sempre nella nuova,
anche se là avrebbero poi imperversato
le oscure divise della dittatura
e Pepe Mujica stava in una prigione-fossa,
senza libri, senza ascolto dal pianeta.
Poi l’oblio… Dove andava la tua mente,
mio amato zio? All’infanzia siciliana,
nell’ombelico della città sull’alta rupe,
alle sue nebbie vorticanti,
al suo astro furioso?
All’ipotetica nave della felicità?
All’amore sempre strappato
con gioia vorace? Al valico
dell’ultima frontiera?
Sei partito che eri Vincenzo,
sei morto che eri Vicente.
Eri il mio idolo…
tu recuerdo como el dulce de leche…
zio Vincenzo… tío Vicente…
sempre nel mio cuore, zio…
siempre en mi corazon, tío…

Lugano, 22 marzo 2019

Alberto Figliolia

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