Quasi ogni giorno passo
davanti al luogo dov’è morto
mio padre alla vigilia dell’alba
di una giornata fra bruma e sole
con le foglie a danzare
a un pallido vento
sospese agli invisibili fili
di ragnatele brinate;
lancio un pensiero
all’indirizzo dell’ampia struttura,
là dove il dramma finale
è stato recitato,
e vado dritto, stranito
di tanta accettazione.
Stanotte ho sognato
di cugini duplicati
e sorelle fumanti
in un’animata piazza parigina,
poi ero in viaggio
per la Siria, che confinava
con la Svizzera:
fra grattacieli e macerie,
fra il suq e anse di lago,
mattonelle di pavé e labili orizzonti.
Su una gradinata
attendevo
in quello strano crepuscolo scintillante
l’arrivo e la partenza,
l’automobile ingombra
di vecchie speranze.
Ora la campagna si snoda
brulla, arata, marrone
nel telepatico sospiro
di tutti gli animali finiti,
degli esseri sfiniti,
coi pioppi a slanciarsi nudi,
neri, nel cielo azzurro informe,
sterile commovente invocazione
al dio assente
mentre rievoco
riannodandoli come corde
i transeunti anni
della mia coscienza.
Alberto Figliolia (da “Domestiche affezioni”, Prospero Editore, 2019)