Sogno orientale, barocco e pop (Poem in progress)
La dea nera dalle otto braccia,
le collane sui seni bramosi di saliva;
una danza panica, penica,
un amplesso fra musiche psichedeliche:
rosate, tatuate; il dio sperma
sulla sua bocca a disegnare
cuori e pomi da mordere.
Il fumo rientra nelle narici:
silenzio mistico-carnale,
coito orale che avvicina
alla morte per estasi, pantheon
creatore, e il sanscrito solletica lo scroto…
tutte quelle odalische volanti
in nudità da celebrare e penetrare!
Sono folle. Sono folle di pietra,
adoranti, quelle che popolano la mente,
e noi siamo in quell’ultimo riflesso,
statue corrose e trionfanti,
il sitar delle sue labbra che si posano
sui capezzoli e giù, giù,
sempre più giù, nei tenebrosi pozzi
del desiderio, mentre fortuiti passanti
si arrestano muti a osservare la scena.
Chi fui? Chi fui?
Chi sarò? Chi sarò?
È la domanda del pinguino-arcobaleno
sbalzato balzato dai sogni
a far da assorto assurdo compagno.
E salirò sul dorso di un elefante sospeso
sopra l’apocalittico mondo,
a mia volta sospeso, a mia volta incredulo
di scorgere tanti topi sacri aggirarsi
nei meandri del tempio atterrato
(e radici di albero prima costruiranno,
poi conterranno il mio corpo, con liane
intorno alle costole e serpenti immobili
prima dell’attacco mortale).
E giacerò, io giacerò, sulle rive del fiume-ramarro,
seguendo con lo sguardo rami senza più corteccia
e corpi divelti dal primordiale respiro
fluire nella corrente eterna verso il non so dove,
minuti che si fanno cosmo
e cieli di gravida pioggia.
Quale infine la meta, o mio invisibile sadhu
accoccolato sulla soglia della capanna,
fra scimmie e cobra, in una radura
della foresta smeraldina?
Così sfoglio il libro anonimo, agonico,
delle possibilità, un cavallo di carta
bardato per l’ultima guerra,
miserabile nell’infinita sua arroganza.
Il mistero è uno splendore oscuro,
una colonna che si sbriciola,
un amore che si sfrangia
ai confini dell’eternità.
Alberto Figliolia