Anelli d’oro cingono le spire del serpente

Anelli d’oro cingono le spire del serpente.
Dal cadaverico ventre un tubo tracheale, di lato i pneumatofori e al sommo un pipistrello, capta il pallido vento.
Un lupo dalle zampe d’insetto discetta del noumeno.
Neon accendono gli alveari.
L’angelo caduto cammina sulla spiaggia lavica insieme alle grida scomparse dei dannati.
Tavole imbandite per scheletri ingordi ai piedi di scale elicoidali.
Gira la chiave nella serratura dell’ultima porta dell’orto concluso.
Pietre volanti nella bruma.
Macchine sospese sull’abisso.
Un’amante con mezza faccia marcia.
L’elsa scintilla della spada che taglia il volo.
Gli intestini si torcono imprigionando Prometeo (e Orfeo sta a guardare).
Veleno cola dal soffitto della grotta; imbeve l’anima; strazia con la visione del futuro dietro le spalle e il passato avanti.
Codici binari mutano in soliloqui di specchi.
Ancora cadono angeli.
Duplici bocche spalancano dentati baratri e grifoni implorano pietà nei rancidi cortili del sogno.
Monitor rimbalzano le immagini dei sepolti vivi.
Spettrali occhi fumano.
Ore lancinanti batte il tempo non tempo prima che i cataplasmi donino parvenze di paradiso dal pavimento a scacchi.
L’antidoto…

 

Alberto Figliolia

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