Nel centenario della nascita dell’immenso Fausto…
A Fausto e Gino
Chi fu a passare l’acqua all’altro,
quell’acqua di sale, sole e malaria,
invidia, successo e inimicizia,
il paese dell’anima spaccato anche quello?
Chi fu che gettò l’ombra sua
oltre l’altra, i muscoli
tesi allo spasimo, le ruote
ferme in uno scatto eterno?
Pensavi alla tua Dama, Fausto,
alle pedine bianche e nere del caso,
mentre i monti t’inghiottivano
con le strade abbacinate, allucinate,
o al fratello dal nome perduto,
alla sua presenza-assenza?
E tu, Gino, a che cosa pensavi
quel giorno dell’anno nuovo
nell’odore improvviso della morte
che ti aveva sottratto
l’antico avversario e compagno?
Fu lungo cammino insieme,
fu gloria o percorso breve,
come il profilo di un volo
d’aquila nel cielo
o il canto ultimo d’una sirena?
(Fausto Coppi, Castellania, 15 settembre 1919-Tortona, 2 gennaio 1960/Gino Bartali, Ponte a Ema, 18 luglio 1914-Firenze, 5 maggio 2000)
Una rivalità epocale, di più… epica. Due campioni-simbolo, tanto diversi fra loro e inestricabilmente avvinti. Capaci di spezzare nettamente in due l’Italia della passione ciclistica, una disfida che nel dopoguerra accese animi e immaginari in un’Italia che si leccava ancora le ferite del secondo gran bagno di sangue mondiale, un Paese che voleva comunque, in gran fermento culturale e ludico-sportivo, riprendere a vivere. Bartali e Coppi, o Coppi e Bartali, scrissero indelebili, indimenticabili pagine.
“Ginettaccio-Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare” conquistò il suo primo titolo italiano nel 1935, correndo sino al 1954, accumulando copiosissimi successi: due Tour de France (1938 e 1948), l’ultimo dei quali in concomitanza con l’attentato a Palmiro Togliatti, vittoria che contribuì a rasserenare – così leggenda vuole – l’anima di una nazione lacerata e pronta di nuovo ad ardere; tre Giri d’Italia (1936, 1937 e 1946); quattro Milano-Sanremo (1939, 1940, 1947 e 1950); tre Giri di Lombardia (1936, 1939 e 1940); due Giri di Svizzera (1946 e 1947); quattro titoli italiani; cinque Giri della Toscana; tre Giri del Piemonte; due Campionati di Zurigo; due Giri dell’Emilia; due Giri della Campania; la Coppa Bernocchi, il Giro di Romandia e il Giro dei Paesi Baschi. Vinse pure dodici tappe al Tour de France, indossando in venti occasioni la maglia gialla di leader della classifica generale, e diciassette tappe al Giro d’Italia, con una collezione di cinquanta giorni in maglia rosa.
Fausto Coppi, “l’Airone” o “Fostò” – come amavano chiamarlo i francesi –, “Un uomo solo al comando”, uso a infliggere sovente abissali distacchi ai suoi compagni e rivali di corsa (ben 14′ a chi invano lo inseguiva nella Milano-Sanremo 1946, dissimile alter ego di Gino), alla nascita pesava solo due chili.
Fra i suoi trionfi: due Tour de France (1949 e 1952); cinque Giri d’Italia (1940, 1947, 1949, 1952 e 1953); tre Milano-Sanremo (1946, 1948 e 1949); il titolo iridato nel 1953. Fu anche campione del mondo nell’inseguimento su pista. Nella sua straordinaria carriera stabilì anche il record dell’ora: 45,871. Fu il primo ciclista a vincere Giro d’Italia e Tour de France nello stesso anno.
Una vita piena e drammatica, la sua… Prigioniero di guerra. La tragedia della morte dell’amato fratello Serse, anche lui ciclista, deceduto per emorragia cerebrale in seguito a una caduta in occasione di un Giro del Piemonte. La storia extraconiugale con la famosa Dama bianca, al secolo Giulia Occhini, da cui ebbe un figlio (Angelo Fausto, fatto nascere a Buenos Aires). Giulia, denunciata per adulterio dal primo marito, passò anche qualche giorno in carcere; Fausto, a sua volta sposato, subì il ritiro del passaporto. Non era molto amato dai benpensanti Fausto Coppi. In un’Italia bacchettona e ipocrita anche a chi vinceva poteva non essere perdonato d’infrangere le regole di una morale corrente (e ampiamente vetusta). La stessa morte di Fausto è di altissima drammaticità. Fu una malaria non diagnosticata a spegnere la fibra del Campionissimo.
Per tornare al suo amico-nemico, è da dire che Gino, fervente iscritto all’Azione Cattolica, non si piegò mai alle ragioni propagandistiche del regime fascista. Se Mussolini tentò opportunisticamente di usarlo, fu sempre senza il beneplacito di Bartali, il quale anzi durante la guerra, quando si allenava, nascondeva, con gran rischio e pericolo, all’interno della bicicletta documenti e lasciapassare falsi per ebrei da salvare dalla persecuzione nazista. Perciò è stato dichiarato dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto, Giusto tra le nazioni.
Alberto Figliolia (da “Cieli di gloria-Poesie sportive”, Edizioni IL FOGLIO, 2017, pagine 108, euro 12)