allora attendo in un’anticamera il mio turno
impongo le mani al mondo
sventagliate di luce dai palmi aperti
ma non basteranno a dare sanità
ai brogli della natura né alle finzioni umane
neppure con l’aiuto del cielo
allora attendo il mio turno in un’anticamera
e quando è giunta la mia volta
consegno un documento d’eternità
ma non vale: non ho le ali
e ogni neon è rotto: sulle pareti
e sul soffitto, irreparabilmente
l’orologio segna le 11,15 di un altro giorno
o forse sono le 23,15 di un’altra notte
a dire il vero, non c’è un orologio che funzioni
tutti bloccati in un tempo diverso
uno dopo l’altro nel lunghissimo corridoio
di fuochi virtuali e le sbarre alle finestre
e porte di ferro pesante
e affreschi di morti sui muri contorti
poi lo spettacolo della follia
e fumi di risa sguaiate nei sogni a venire
dialoghi sordi e danze psicotiche
a celarsi nelle pieghe segrete del cuore
fra l’oscurità e il tramonto, altrove
Alberto Figliolia (da “La semina dei ricordi”, Albalibri, 2013)