Per il 61° anniversario di matrimonio dei miei genitori

Oggi sarebbe stato il 61° anniversario di matrimonio dei miei genitori.Perciò condivido queste due mie poesie: la prima per mio padre, la seconda per mia madre.

Là era mio padre

Ce soir
dans le rêve
j’ai vu
mon père

nelle trincee
fra fango e piscio
fra curiosi e avidi topi e lerce tele
nella notte illuminata dai traccianti
sotto il grido rabbioso degli shrapnel
all’ordine del generale macellaio e del monarca alla tavola imbandita (troppo basso per arrivare anche a veder con il binocolo dalla feritoia il massacro dei suoi soldati)
coi suoi commilitoni dai mille dialetti all’assalto frontale
rosi dalla lebbra della paura
con la baionetta fra i denti e le cesoie inutili
le viscere dei feriti sparse lungo il crinale
là era mio padre con il suo pigiama blu

Ce soir
dans le rêve
j’ai vu
mon père

lungo le rive del gran fiume
fra cadaveri gonfi d’acqua, le dita mozzate dagli sciacalli
allo stormire dei pioppi che lacrimavano ambra
e invisibili rami come remi a segnare il ritmo del tempo
nel cadere del tramonto su isole provvisorie
(banchi di sabbia per mimetiche serpi)
là era mio padre con il suo pigiama blu

Ce soir
dans le rêve
j’ai vu
mon père

in una prigione buia dell’Anatolia
fra urla ferine e ricordi di dervisci rotanti
fra denti spezzati e nostalgia
la musica di un matrimonio estivo nella mente martoriata
con gli aguzzini a ridere sguaiati e giocare con tarocchi truccati l’ultimo grano di libertà
le urla soffocate dei torturati e il volo delle rondini nel cielo atroce e bello
là era mio padre con il suo pigiama blu

Ce soir
dans le rêve
j’ai vu
mon père

sotto il muro munito di fari accecanti e mitragliatrici rabbiose anche nel mutismo
alla bava maledetta di ringhianti molossi
all’ombra cupa di palazzi dai mattoni sbreccati
nella grigia e dirompente noia della dittatura
là era mio padre con il suo pigiama blu

Ce soir
dans le rêve
j’ai vu
mon père

Alberto Figliolia

Ti ho visto, madre…

Ti ho visto, madre, camminare
lungo la via, nel giorno grigio,
spento, maschera di dolore
e priva di ogni maschera
tu abbia mai indossato.
Le rughe del tuo viso eran solchi
antichi e lo sguardo vagava,
senza vederle, sulle foglie morte
di quest’autunno rovinoso
senza spiegazioni, senza ragioni.
Quali sono, madre, i confini
del vuoto dentro di noi?
Che cosa nel pallido e inesorabile
rotolare degli anni ci ha condotti
a esser ciò che siamo, ciò che non siamo?
Non mi sono fermato, madre,
né ti ho chiamato; ho proseguito
per la mia strada: troppo angosciosa
la stretta al cuore che provavo,
la morsa nello scorgerti così,
pietra di sofferenza, nocciolo di ansia
per il presente di nebbia,
per il futuro smarrito.
Due strade diverse in quel mentre
percorrevamo,
due direzioni opposte, eppure presto
ci ritroveremo in un’urna
di nubi e sassi, nel miagolio del vento
di un misterioso mare, nella sonagliera
degli alberi di quest’autunno rovinoso
senza spiegazioni, senza ragioni,
e d’inquieta immobilità.
Poi rigiro negli occhi quella foto
color seppia, un po’ smangiata al centro,
del 26 dicembre 1959, con te giovane,
gli occhi come il cielo,
il sorriso aperto al mondo che sarebbe stato,
e papà vicino a te, e io in mezzo a voi
con lo sguardo totalmente intento,
assorto: forse già ti vedevo camminare
lungo la via, nel giorno grigio,
spento, maschera di dolore…

Cesano Boscone, 31 ottobre-7 novembre 2016

Alberto Figliolia

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