Cinquant’anni dopo. A un genio del gioco, a un uomo libero…
A Gigi Meroni
Un dribbling a scartar banalità,
serpentine fra difensori avversi,
il tuo calcio, Gigi, era rari versi,
guizzi a rifuggir la precarietà,
pallonetti alla provvisorietà
(Sessantasette, Sarti), gol diversi,
come fiori, giostre, sogni dispersi
nella cruda stantia realtà.
Colpi di tacco e galline al guinzaglio
per i figli dei fiori e i benpensanti,
la Balilla e la sorte nel bagaglio
e a Middlesbrough quei coreani ansanti…
Cross e tiri come visioni, Carelli
che alza il pallone al cielo, ai caroselli
di pianto, e il giorno che si leva lento
per l’ultima tua volata nel vento.
Luigi (o Gigi) Meroni, la farfalla granata. O anche il beatnik del gol. O, ancora, Calimero. Ovvero la fantasia al potere. Un giocatore dalle formidabili abilità e dalla straordinaria sensibilità: dai piedi, capaci di tocchi sublimi e gol da cineteca – come quello ricamato con un pallonetto a Giuliano Sarti, che interruppe l’imbattibilità casalinga della Grande Inter che durava da tre lunghi anni – alla testa. Una testa pensante, dentro i tempi, in anticipo sui tempi.
Gigi Meroni, nato a Como il 24 febbraio 1943 e morto a Torino il
15 ottobre 1967 in conseguenza di uno stupido incidente… Il giovane stava attraversando a piedi, con il suo compagno di squadra e amico Fabrizio Poletti, il trafficato Corso Re Umberto quando fu investito prima da una Fiat 124 Coupé poi da una Lancia Appia. Gambe fratturate, bacino rotto e trauma cranico. La morte sopravvenne alle 22,40.
Con Gigi Meroni scompariva uno dei più grandi talenti del calcio italiano – giocatore che volteggiava lieve coi suoi calzettoni abbassati e che sapeva illuminare il gioco con invenzioni fuori da ogni ordinario – e moriva un giovane uomo di non comuni doti. Meroni non era mai banale, in qualunque attività fosse occupato. Amava dipingere, si disegnava i propri abiti, sfidava la morale borghese corrente per affermare il diritto di scegliere la propria vita. Difatti Gigi conviveva con una giovane separata, dando da dire alla pletora di benpensanti.
Ancora una insostenibile tragedia per il popolo torinista. Dopo Superga Meroni…
Una vita breve fu quella del Gigi, ma piena, intensa, illustre, gloriosa, nonostante gli stenti e sporchi stracci indossati dalla morte.
Ancora adesso si pensa con nostalgia alla farfalla granata, al beatnik del gol, a Calimero. Lui è qui, con noi, nella cultura popolare, nell’immaginario collettivo. Come una promessa a venire, come una speranza mai morta.
(Da “Cieli di gloria-Poesie sportive” di Alberto Figliolia, 2017, Edizioni Il Foglio)